Calderone di Gundestrup

Il calderone di Gundestrup è stato trovato nel 1891 in una palude dello Himmerland, nello Jutland (Danimarca). Del peso di quasi nove chili e dal diametro di 69 cm, il recipiente fu rinvenuto smontato e deposto in un punto asciutto della zona acquitrinosa, come risulta dalle analisi dei pollini.

Si pensa che originariamente le placche d’argento, tutte finemente decorate, formassero il rivestimento di un grande calderone, forse di legno, successivamente smontato e probabilmente deposto come offerta votiva; per questo motivo la sequenza delle placche è ignota e l’ordine di presentazione attuale è una ricostruzione arbitraria.

Struttura e rappresentazioni

L’esterno del calderone doveva essere ornato di otto placche quasi quadrate (25,5 cm x 26 cm circa), di cui solo 7 ci sono pervenute: la placca mancante potrebbe corrispondere a una quarta divinità femminile.
Le rappresentazioni, classificate per lettere minuscole, sono le seguenti:
– a, b, c, d: in queste quattro placche vi sono un busto di divinità maschile ciascuna, con le braccia alzate nel gesto dell’orante.
– e, g: in queste due una dea ciascuna, con braccia incrociate o posate sul petto.
– f: una dea con la mano destra alzata sulla quale è posato un uccello.
Ciascuno di questi personaggi si distingue per una diversa acconciatura, la barba, la forma del torquis (o per l’assenza di questo ornamento), come pure per motivi secondari raffiguranti persone, animali, assistenti del dio o allusioni a un mito che gli era associato. A differenza delle placche interne, certi sfondi e particolari sono stati ravvivati con una doratura.
All’interno cinque grandi placche (41 cm x 20 cm circa) erano disposte verticalmente attorno a un fondo circolare su cui è raffigurato in altorilievo un toro sdraiato. Queste placche, classificate per lettere maiuscole, rappresentano:
– A: il dio con i palchi del cervo, conosciuto in Gallia come Cernunnos, seduto alla turca con un torquis nella mano destra e il serpente dalla testa di ariete nella sinistra, circondato da animali (cervo, cinghiale, stambecchi, leoni e persino un grande pesce, forse un delfino, cavalcato da un piccolo personaggio).
– B: una dea incorniciata da elefanti e da grifoni simile a quella rappresentata nella placca esterna g ma con due personaggi, probabilmente maschili, uno dei quali lotta con una belva.
– C: il dio con la ruota identificato generalmente come Taranis, presente anche nella placca c.
– D: tre grandi tori, davanti a ciascuno dei quali sta un personaggio che punta una spada verso la gola dell’animale: tre quadrupedi (cani o lupi?) in corsa inquadrano in alto e in basso il tema principale, generalmente considerato come un’uccisione sacrificale.
– E: questa placca presenta una sorta di sfilata militare, con quattro cavalieri in alto che seguono verso destra il serpente dalla testa di ariete, tre suonatori di carnyx in cammino verso sinistra sono rappresentati sul basso, preceduti da un uomo con un elmo coronato da un cinghiale e l’arma sulla spalla e sei fanti dotati di lancia e scudo: davanti a loro un personaggio di statura più che doppia, dai capelli accuratamente acconciati a treccia, tiene a testa in giù un uomo della statura degli altri, sopra un oggetto che potrebbe essere un recipiente, un tino fatto a doghe. Fra le due file è disposto orizzontalmente un albero dalle radici nude rivolte verso il grande personaggio, sopra un cane ritto sulle zampe posteriori. Questa scena è stata interpretata come un sacrificio umano per annegamento, ma anche come la rappresentazione del personaggio verso l’altro mondo, dopo immersione nel tino che procura immortalità.

Realizzazione

Dalle impronte dei punzoni usati per l’ornamentazione delle placche, si è potuto determinare che erano stati impiegati tre gruppi diversi, corrispondenti probabilmente a tre artigiani. Questa constatazione corrisponde a quella dell’analisi stilistica: uno avrebbe realizzato quattro placche esterne (c, d, e, g) e tre interne (B, C, D); un altro due placche esterne (b, f) e due interne (A, E) e un terzo avrebbe eseguito il fondo con il toro. Una placca esterna non può essere attribuita in mancanza di impronte di punzone (a).

Origine e datazione

Armi e ornamenti raffigurati rendono ragionevole l’ipotesi che sia stato fabbricato tra la fine del III sec. a.C. e l’inizio della seconda metà del I sec. a.C. Differenti sono invece le opinioni circa il luogo d’origine: le preferenze lo attribuiscono principalmente a due zone: l’attuale Francia e le regioni del basso Danubio. Il motivo di queste divergenze va cercato nell’ambivalenza della testimonianza offerta dall’oggetto: da un lato lo stile e la lavorazione sono chiaramente Traci, dall’altro alcuni dei motivi sono inequivocabilmente celtici, alcuni dei quali frequentissimi in Gallia. In particolare la natura dell’oggetto, un calderone, trova riscontro nella ritualità celtica, mai riscontrata in Tracia, d’altro canto la tecnica dell’argento sbalzato ad alto rilievo e parzialmente dorato è tipica dell’artigianato tracio tra il IV e il I sec. a.C. Anche la maniera in cui è realizzato il pellame degli animali è di concezione tipicamente tracia, come pure la presenza di cani e animali fantastici come grifoni. Uno stilema particolare è rappresentato dal ricciolo sulla fronte del grande toro sulla piastra di base: sebbene questi vortici o trisceli siano ben noti all’arte celtica, mai in essa ricorrono sulla fronte di tori, mentre questa caratteristica sembra tipicamente tracia. Riguardo i volti e gli abiti è difficile tracciare paralleli soddisfacenti perché rilevabili sia in Tracia che in Gallia, a parte un particolare presente in una falera tracia ritrovata in una tomba di Stara Zagora (Bulgaria) dove compare Eracle che combatte contro il leone vestito con un abito in tutto e per tutto identico a quello più volte visibile sul calderone, con blusa e calzoni aderenti che terminano all’altezza del ginocchio con il loro motivo a strisce. Da notare l’affinità che presenta questa sfilata militare con l’unica altra opera narrativa dell’arte celtica, il fodero della spada di Hallstatt, anteriore di più di tre secoli.
Anche per quello che riguarda i torques, benché tipicamente celtici e frequentissimi in occidente, si riscontra una loro diffusione presso i Celti orientali e sudorientali, come nel caso del Galata Morente. Due torques inoltre appartengono ad un raro gruppo non celtico, la cui origine va probabilmente individuata nella Russia meridionale, sul Mar Nero.
Gli scudi raffigurati sul calderone sono quelli lunghi, tipicamente celtici, ma ritrovamenti in Bulgaria e Romania provano che scudi del genere erano usati anche da tribù orientali non celtiche.
Nel sud-est europeo il corno come strumento musicale non è mai stato scoperto nella forma con cui appare nel calderone, mentre reperti e raffigurazioni sono frequenti nell’Europa occidentale; anche gli elmi visibili sono celtici: quelli aventi per cimiero uccelli o cinghiali sono noti tra i celti sia occidentali che orientali.
Alcuni dei motivi iconografici sembrano avere i migliori riscontri in opere d’argento tracie, ma il dio con le corna (Cernunnos), testimoniato in occidente, risulta assente a est, così come il serpente con la testa d’ariete.

Conclusioni

Il calderone era certamente destinato non a un uso privato ma a un impiego cerimoniale in un importante santurario comunitario, dove pare verosimile sia stato sottratto in seguito ad un conflitto.
Sulla base di tutte queste constatazioni si ipotizza che la tribù dei celti Scordisci, stanziati nel III sec. a.C. in parte nella tracia, possa racchiudere in se tutti gli elementi e le apparenti contraddizioni rilevate nel calderone di Gundestrup; nella Bulgaria nordoccidentale, parecchie necropoli documentano una coesistenza, apparentemente pacifica, con tribù tracie, alla quale alludono anche fonti storiche. Se questo fosse vero, resta comunque da svelare il mistero di come sia finito in Danimarca; forse fu portato dai Cimbri che, durante i loro spostamenti per tutta l’Europa, ebbero contatti con gli Scordisci. Non a caso la regione dello Jutland dove il recipiente è stato trovato porta ancora il nome della tribù cimbrica Himmerland. Questa ipotesi, seppur molto convincente, resta una delle innumerevoli formulate fino ad oggi; purtroppo al momento nessuna di queste sembra essere completamente convincente.

Bibliografia

– I Celti; sotto la direzione scientifica di Sabatino Moscati, Otto Hermann Frey, Venceslas Kruta, Barry Raftery e Miklòs Szabò; Bompiani editore; 1997
– I Celti; Venceslas Kruta; L’Ippocampo editore; 2007

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